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Ideologia di genere e personatorna su
La domanda angosciata di Re Lear di Shakespeare, «Chi mi dirà chi io sono?» ha dato il titolo alla prolusione del Prof. Francesco D’Agostino, docente di Filosofia del Diritto all’Università «Tor Vergata» di Roma, con cui si è inaugurato l’anno accademico della Facoltà.
«Come possiamo impegnarci a conoscere noi stessi?» si è chiesto il relatore. «Forse dobbiamo accettare la verità che noi non ci conosciamo, che il mio io è inaccessibile a qualunque immagine di me».
A partire da tali interrogativi, il Prof. D’Agostino ha ripercorso i differenti livelli con cui può essere affrontata la questione dell’identità e dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Al momento della nascita viene data dalla natura un’identità sessuale, mentre i genitori danno il nome, che mai potrà essere cancellato. «L’identità sessuale - ha sottolineato - ci piaccia o meno, ci è data come compito, come dovere, ci è data nella logica dell’imperativo: “conosci te stesso!” o con l’ammonimento “stai attento a te stesso”». Il fatto che l’identità sessuale ci è data, nella cultura contemporanea acquista nuove valenze e apre nuovi orizzonti: si muove su una molteplicità di piani, tra cui quello dell’identità di genere.
Secondo il Prof. D’Agostino, dietro tale pretesa vi è una modalità “perversa” di intendere la morale come costruzione assolutamente autonoma della propria coscienza. È il mito dell’autenticità, che oggi si traduce in: “fai quello che vuoi fare”, “non chiedere niente a nessuno”.
È qui che trova radici l’ideologia di genere, in questa esasperazione, nella pretesa di fare del genere il prodotto di una costruzione sociale arbitraria: «io costruisco me stesso a partire dall’immagine che voglio che si abbia di me e nessuno può “sindacare” la mia immagine».
Il livello teoretico fragile della ideologia di genere si fonda su un’utopia, un desiderio illusorio:
«Chi di noi - ha sottolineato ironicamente - se ce ne fosse data la possibilità non vorrebbe essere diverso da ciò che è?». Purtroppo, invece, ed è un dato di fatto, il principio della realtà ricorda «che noi non siamo chi vorremmo essere, siamo ciò che siamo».
Tale realtà è, allo stesso tempo un dovere, in quanto «se ciò che siamo non dipende da noi, diventare ciò che siamo dipende da noi. Nessuno si costruisce da solo: ogni incontro con l’altro mi costruisce nella mia identità. Noi siamo noi stessi perché gli altri ci aiutano ad essere noi stessi».
È una verità intuitiva: noi non guardiamo mai in faccia noi stessi. È l’altro che ci guarda e, a volte, ci rivela noi stessi: «Continuamente noi sottoponiamo noi stessi alla prova della relazione con l’altro». Ed è questa relazione iniziale che va rispettata, perché costitutiva della nostra identità, a partire dalla relazione fondamentale con Dio, che crea ciascuno di noi in modo individuale e irripetibile, perché «Tutta la vita si manifesta in questa dinamica relazionale nella quale io opero, ma che non dipende da me». È in questa dinamica che si inserisce l’alleanza educativa: i genitori educano i figli che, a loro volta, educano i genitori.
Il dramma, secondo D’Agostino, sta nel fatto che la cultura contemporanea non comprende questo dato, in quanto sottoposta a un principio “perverso”, che ha trovato la sua espressione più sintetica in una famosa affermazione di Danton, capo giacobino della Rivoluzione francese: «i figli non sono dei genitori ma della Repubblica».
È questa la deformazione che altera la modernità: i figli sono di coloro a cui lo Stato decide di darli. Di conseguenza, lo Stato avalla la genitorialità e sostituisce con vincoli giuridico-sociali il vincolo naturale.
«Non so cosa ci riserva il futuro - ha concluso il Prof. D’Agostino -. Immagino che, per quanto un bambino possa amare i genitori adottivi, ha sempre il diritto di dire che ha dei genitori naturali e che il vincolo di figlio lo Stato non lo può e non lo deve cancellare, perché quella è la verità della sua origine».
La prolusione del Prof. D’Agostino, seguita da tutti i presenti con crescente attenzione, sarà pubblicata sul numero 1 del 2015 della «Rivista di Scienze dell’Educazione».